Il Tribunale, accogliendo il ricorso, per impugnativa del licenziamento intimato ad una lavoratrice, difesa dall’Avv. Gianni Benevole, ha stabilito che non solo la malattia nel caso in esame sia di origine professionale, ma che questa sia imputabile a responsabilità del datore di lavoro e, per essa, dei vertici aziendali che avevano preso la decisione di demansionare la lavoratrice, intimandole inoltre un trasferimento illegittimo e mantenendola, anche dopo il trasferimento, in una condizione di svilimento professionale e parziale inoperatività, creando colposamente, con la propria condotta, costituente illecito contrattuale, un vero e proprio ambiente stressogeno, con un conseguente danno biologico psico-fisico per la dipendente. La responsabilità discende dalla violazione del generale obbligo di protezione della salute del lavoratore, che grava sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., e che comprende la tutela non solo dell’integrità fisica ma anche psichica del prestatore d’opera, che deve essere protetto da rischi ambientali, tra cui “quelli collegati allo stress lavoro-correlato” (cfr. art. 28 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Poiché, quindi, le assenze per malattia della lavoratrice non potevano essere considerate ai fini del superamento del comporto, il Tribunale ha dichiarato invalido il licenziamento, riconoscendo la tutela della reintegrazione, in applicazione dell’art. 18, commi quarto e settimo, l. n. 300/1970, come modificato dalla l. n. 92/2012, oltre all’indennizzo per l’illegittimo recesso.